martedì, luglio 08, 2008

Fallimenti e speranze


Non so se rallegrarmi o no del quasi fallimento dell'ultimo G8 svoltosi a Tokyo.

Alcuni gesti simbolici sono stati presi ma sostanzialmente si va avanti così cioè a casaccio.

La globalizzazione senza regole ci darà a tutti il colpo di grazia o riuscirà a sfamare tutti gli abitanti del globo, come sostengono i puri e duri? Sempre meno numerosi in verità...

E' vero, sono aumentati come numero i terrestri che assumono calorie sufficienti negli ultimi 30 anni ma è aumentata anche la percentuale di affamati, assetati, profughi a cause climatiche e di guerre. Il fatto è che siamo aumentati, punto.

Dobbiamo convincerci che ogni cosa cosa che progetteremo, faremo, consumeremo, produrremo dovra essere compatibile, rinnovabile, sostenibile, circolare. Il globo non sopporterà a lungo sistemi produttivi espansivi, lineari, esponenziali. E' un principio della fisica ed è un concetto di semplice buon senso.

Resto convinto che la tecnologia ci salverà. Tra non molto arriverà la rivoluzione solare che permetterà la creazione di idrogeno senza idrocarburi (sono già attivi progetti sperimentali). Può anche darsi che arrivi la fusione nucleare in piccole centrali che non producono scorie e speriamo che il "nucleare" classico, che molti vogliono a tutti i costi, sia almeno di quarta generazione (con una piccolissima produzione di scorie).

Della politica non so che dire e pensare. Non vedo leader o volontà comuni che riescano a imporre al treno senza controllo della globalizzazione un minimo di percorso logico e utile a tutti i cittadini della terra. La politica sembra impotente perchè comprata letteralmente dall'economia globalizzata.

Speriamo e vediamo cosa farà Obama che potrebbe, affiancato dall'Europa, ricucire rapporti utili con Cina e India per il bene di tutti. I tentativi di Bush fatti fino ad ora sono stati ridicoli e contraddittori.

Speriamo bene ma meditiamo.... ..per il momento con questo pezzo interessante di Federico Rampini qui sotto.

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L'agenda del fallimento
di FEDERICO RAMPINI

Il G8, che allora era il Gruppo dei Sei, nacque a metà degli anni Settanta come risposta dei maggiori paesi industrializzati al primo choc petrolifero, l'embargo dell'Opec durante la guerra del Kippur. Più di trent'anni dopo questo embrione di governo globale si ritrova alla casella di partenza. E' di nuovo alle prese con una gravissima crisi energetica, che propaga il virus dell'inflazione su tutto il pianeta, senza aver fatto passi in avanti per ridurre la nostra dipendenza dagli idrocarburi. L'agenda dei temi che dominano questo vertice sull'isola di Hokkaido è la fotografia di un monumentale fallimento. La mancanza di una politica per il risparmio energetico e la diversificazione delle fonti ci presenta il conto. Negli Stati Uniti la General Motors è sull'orlo della bancarotta e la sua capitalizzazione di Borsa è stata superata da una catena di caffè (Starbucks). Il crollo dell'industria automobilistica nel Paese più motorizzato del mondo è uno dei segnali di collasso di uno stile di vita, di un modello di consumi insostenibile. American Airlines e United, le due più grandi compagnie aeree, stanno licenziando migliaia di dipendenti. Insieme con l'èra dei Suv tramonta anche il periodo in cui gli americani prendevano l'aereo come un autobus. Vengono al pettine i nodi del "ventennio sprecato": a partire dalla presidenza di George Bush padre, l'America ha rinunciato a essere il laboratorio di una nuova modernità, ha scartato le strade per creare ricchezza senza distruggere le risorse naturali del pianeta. I risparmi energetici che ci furono dopo lo choc degli anni Settanta, sono stati annullati dagli anni Novanta a oggi.
Ora, con il petrolio a 145 dollari a barile, George Bush è venuto a Toyako a sostenere due posizioni inconciliabili. Da una parte è contrario ad allargare in tempi rapidi il G8 per includervi Cina e India. D'altra parte lui stesso ammonisce che un'azione seria contro il cambiamento climatico è impossibile senza coinvolgere Cina e India, i nuovi giganti anche nell'emissione di Co2. Le potenze asiatiche reagiscono con fastidio. Con appena il 4% della popolazione mondiale gli Stati Uniti continuano a consumare un quarto di tutto il petrolio. A Pechino, la città con il più alto reddito pro capite della Repubblica Popolare, gli ingorghi automobilistici sono già una realtà quotidiana, e tuttavia ci sono solo 3,5 milioni di autovetture per 18 milioni di abitanti. Se avessimo noi questo tasso di motorizzazione privata, le nostre metropoli sarebbero delle grandi isole pedonali. Cina e India non accettano di essere additate come i "principali sospetti" per il terremoto inflazionistico che sconvolge i mercati di tutte le materie prime. Questa demonizzazione degli ultimi arrivati, Bush la esprime con la consueta brutalità, ma è entrata nel linguaggio comune di governi e opinioni pubbliche anche in Europa. L'aumento dei consumi asiatici - sicuramente una ragione di fondo dell'inflazione - è una causa "virtuosa" legata al progresso economico di quei Paesi. Tra le cause meno virtuose c'è l'inerzia dei Paesi maturi e post-industriali nel dirottare risorse verso nuovi modi di produrre e consumare. Un capolavoro di ipocrisia è andato in scena ieri a Toyako con l'Africa-Day: la decisione di aprire il G8 discutendo con i Paesi poveri la crisi alimentare di cui sono le vittime più vulnerabili. Molti Stati africani hanno classi dirigenti disastrose; non così ingenue però da non aver colto una singolare coincidenza: ci siamo improvvisamente ricordati di loro da quando sono attratti verso la sfera d'influenza del neo-impero cinese. Dal Sudan allo Zimbabwe, le dittature criminali che fanno notizia sono quelle che hanno stretto maggiori rapporti economici, politici e militari con Pechino. La lista di aguzzini dei popoli africani è un po' più lunga. Si parla meno di quelli che restano vassalli di Washington, Londra o Parigi. Quando i leader del G8 discutono i terribili effetti del caro-cibo, nella lista delle cause rispuntano regolarmente i "forsennati" aumenti dei consumi alimentari asiatici. Guai però a toccare i sussidi per il bioetanolo su cui Obama e McCain si giocano i voti dei farmers nel Midwest. E' sparita dall'orizzonte la famigerata politica agricola comunitaria, quasi che non esistesse più. Invece continua ad assorbire quasi metà dell'intero bilancio dell'Unione europea. La Pac resta una politica protezionista con forti effetti distorsivi sui mercati mondiali e i flussi di approvvigionamento. E' stata storicamente un ostacolo al decollo economico africano; una barriera contro l'accesso dei produttori più poveri ai consumatori europei. "L'uomo della rottura", Nicolas Sarkozy, appena divenuto presidente ha difeso lo status quo agricolo, una rendita di cui la Francia è la principale beneficiaria. Non è solo Mugabe ad accogliere le prediche europee sui diritti umani con sarcasmo. Altra caratteristica di questo G8 è l'assenza di un padrone di casa. Il governo giapponese è un fantasma. Eppure il Giappone resta una grande potenza tecnologica, all'avanguardia nel risparmio energetico: è il Paese che consuma meno petrolio in proporzione al suo Pil. Non a caso è l'invasione della Toyota Prius ibrida in California ad aver segnato la fine dello Hummer (il blindato da combattimento con cui le mamme di Beverly Hills accompagnavano i bimbi a scuola). Per capire le radici della carenza di leadership nipponica basta osservare che a Toyako i nostri cellulari non funzionano. Il Giappone è l'unico Paese, con la Corea del Nord e la Birmania, dove è inutile portarsi un telefonino europeo, americano o cinese. Rimane pervicacemente protezionista, mantiene mille barriere invisibili contro gli investimenti stranieri, cioè contro la concorrenza. Nell'attuale crisi di consenso verso la globalizzazione, la lezione del Sol levante è chiara: quindici anni di depressione economica sono il bilancio di una mentalità da fortezza insulare

Federico Rampini

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